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Differenze tra olio di oliva e olio extravergine di oliva

La parola “oliva”, presente in entrambe le espressioni, lascia intendere che i due oli in questione siano provenienti dalla stessa pianta. Per questo motivo l’impressione data è che le due tipologie siano più o meno simili; e che al massimo si differenziano perché «uno è meglio dell’altro». Invece no, sono totalmente diversi. Vengono prodotti in luoghi e con metodiche completamente diverse.

Oli buoni e oli cattivi

Spesso per ragioni di brevità, mentre si dialoga sul valore speciale di questo prodotto, sia nella lingua parlata sia negli scritti, si preferisce troncare la definizione completa “olio extravergine di oliva” che diventa semplicemente “olio”, oppure “olio di oliva”. Ne consegue una possibile confusione con un’altra categoria presente nella classificazione merceologica ufficiale, appunto l’olio di oliva.

E poiché l’olio extravergine d’oliva viene lodato in molteplici contesti per le sue virtù salutistiche, queste potrebbero passare, per similitudine, dall’evo al “non evo”. Va a finire che quando compare “olio di oliva” in etichetta tra gli ingredienti dei prodotti da forno o come liquido di governo delle conserve, per esempio, ne siamo addirittura contenti. Come se fosse preferibile ad altri oli di semi di remota origine.

È meglio un olio di oliva o un olio extravergine?

Già dall’introduzione emerge che l’olio extravergine di oliva è il protagonista buono e l’olio di oliva quello cattivo. Perché essere così drastici? Cosa cambia tra i due? Innanzitutto il luogo. Il primo è prodotto in frantoio, il secondo nell’industria alimentare della raffinazione, dove sono diverse le qualifiche degli operatori, gli impianti e la normativa che ivi si applica. Inoltre sono diverse le metodiche. L’olio extravergine di oliva è l’esito di una lavorazione artigianale. È ottenuto esclusivamente dalla spremitura delle olive attraverso processi meccanici e fisici, senza ricorrere all’utilizzo di sostanze chimiche (definizione completa [1]). L’olio di oliva è il risultato di una serie di processi industriali, definiti raffinazione, che si eseguono a temperature molto elevate (provocando la trasformazione dei trigliceridi), e con l’utilizzo di solventi (idrocarburi come l’esano), terre decoloranti (bentonite) e altre sostanze chimiche (soda caustica).

Insomma, non sembrano proprio paragonabili. Eppure all’origine, in comune, c’è il frutto dell’albero Olivo. Come è possibile? Facciamo un passo indietro e osserviamo tutte le fasi della filiera olivicola. Conviene sapere che il prodotto finale della spremitura delle olive non è sempre uguale. Sia perché non sono uguali le olive di partenza, sia perché non sono mai uguali le condizioni ambientali e di lavorazione. Al di là della variabilità naturale data dalla pianta, in termini di quantità e qualità dei suoi frutti, tutte le cultivar potenzialmente danno origine ad un olio extravergine, come è auspicabile. A meno che la pianta stessa abbia subito una condizione fortemente sfavorevole, come può essere l’attacco invadente di un parassita. Ma ciò che condiziona in maniera preponderante il risultato è il fattore umano, ossia le scelte nel momento della raccolta, durante il trasporto e lo stoccaggio e nel corso della lavorazione in frantoio.

Olive colte da terra. Olive maltrattate e ammaccate durante la raccolta. Olive ammassate in cumuli troppo grandi dove avviene un inevitabile schiacciamento. Olive in attesa per troppe ore, sottoposte all’azione del sole e della pioggia. Ognuna di queste operazioni è un errore. Il danno che ne deriva è una degradazione del prodotto, più o meno grave. Infatti stiamo parlando di un frutto per natura facilmente deperibile. L’oliva sana, non spaccata e non schiacciata, contiene grassi compartimentalizzati e protetti in cellule speciali. Se queste cellule si rompono, in seguito a lesioni, i grassi entrano in contatto con acqua, enzimi e microrganismi. Ed ecco le prime alterazioni. Le fermentazioni provocano modifiche riconoscibili sia chimicamente in laboratorio sia organoletticamente (difetti).

Fin ora abbiamo parlato della materia prima. E la sua trasformazione? Dal momento in cui viene alimentata la tramoggia che alimenta l’impianto fino a quando l’olio esce dal separatore, è il frantoiano che governa le sorti del prodotto. Egli agisce da artigiano, per preservare al meglio la parte nobile dell’alimento, controllando tempi e temperature dell’intero processo. Ma non è finita qui. Anche la conservazione ha molta importanza. Nella matrice olio non prevale più l’azione dei microrganismi (fermentazioni) ma quella della luce, dell’ossigeno e del calore, fattori che provvedono ad altri tipi di alterazioni (irrancidimento ossidativo).

I grassi, poverini, non hanno vita facile. C’è sempre qualcuno o qualcosa che vuole minare alla loro stabilità. La natura però non sbaglia mai e, infatti, ha dato in dote all’olivo (ai vegetali in genere) una bella dose di sostanze che funzionano come agenti protettori dei grassi, ossia i polifenoli. Una famiglia ricca, potente e molto curiosa di molecole. Tali molecole, definite antiossidanti, hanno il compito di limitare i danni.

Come si riconosce l’olio extravergine

Qualsiasi alterazione responsabile di depauperamento dell’olio è rintracciabile attraverso gli strumenti analitici di laboratorio e/o attraverso l’analisi sensoriale. Chiunque può riconoscere un olio extravergine dalla presenza di tre caratteristiche organolettiche: fruttato, amaro e piccante [vedi la regola dell’ABC].

Queste caratteristiche non dipendono dalla frazione grassa dell’olio (i trigliceridi infatti sono anonimi per i nostri recettori sensoriali) ma dalla parte minore. Un olio “Fruttato” ha un profumo gradevole, con intensità variabile. Questo profumo ricorda elementi vegetali che possiamo immaginare limitrofi all’albero. Quindi una pianta selvatica o da orto (cicoriella, bietola, pomodoro, carciofo, lattuga), un fiore o un frutto (mela, banana, mandorla, bacche rosse). Non è sintomo positivo trovare odori che ricordano la carne o il formaggio, la posa dell’olio, il metallo o la terra umida. Veniamo alle sensazioni di bocca. Il sapore amaro è un pregio, così come la sensazione pungente alla gola che definiamo “piccante”. Sono loro che si fanno sentire, i polifenoli. In definitiva se devi scegliere e hai la possibilità di assaggiare, fallo.

Dai fiducia al tuo naso e al tuo palato.

Note:
[1] = Secondo il Reg. CE 1513/2001 la dicitura “Vergine” si attribuisce all’olio ottenuto dal frutto dell’olivo soltanto mediante processi meccanici o altri processi fisici, in condizioni che non causano alterazione dell’olio, e che non hanno subito alcun trattamento diverso dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e dalla filtrazione, esclusi gli oli ottenuti mediante solvente o con coadiuvanti ad azione chimica o biochimica o con processi di riesterificazione e qualsiasi miscela con oli di altra natura.
[2] = Le reazioni di alterazione che avvengono nelle catene degli acidi grassi dei trigliceridi durante la raffinazione portano al cambiamento della forma geometrica, che passa da configurazione cis a trans.

FOCUS ON:

Classificazione degli oli da olive
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